Il Dipartimento “Lavoro, Politica Industriale e Innovazione” di INSIEME, con il coordinamento di Roberto Pertile e il contributo di Vera Negra Zamagni, ha elaborato una serie di proposte per una nuova e più efficace politica del Lavoro con il titolo “Mondo del lavoro e della Produzione: politiche per un lavoro più giusto”.
Politiche per promuovere un mondo del lavoro più giusto e decente[1].
A. LE QUESTIONI PRINCIPALI DA AFFRONTARE DA PARTE DEL MONDO DEL LAVORO
I temi che si raccomandano in relazione al mondo del lavoro si possono raggruppare in quattro campi:
A.1. Università/Scuola-lavoro
Il modo in cui funziona oggi il mondo della scuola è troppo sconnesso dalla realtà e la famosa “alternanza scuola-lavoro” non è affidabile. Occorre avere il coraggio di far entrare il lavoro in maniera più concreta nel mondo della scuola, attraverso accordi con le imprese del territorio. Anche l’Università ha problemi analoghi e gli stages dovrebbero essere obbligatori per tutti (in diversa misura e con contenuti diversi rispetto alle varie specializzazioni), sempre in accordo con le imprese del territorio, così come la formulazione di progetti di gruppo, per abituare i giovani a lavorare in team.
Oltre a ciò occorre:
- Valorizzazione degli ETS
- formazione professionale permanente
- educazione imprenditoriale (e non solo manageriale), con speciale riferimento alle donne
- internazionalizzazione
- premiare la creatività dei giovani, nelle scuole e nella Pubblica amministrazione.
Esistono buone pratiche a cui ispirarsi.
A.2. Democrazia sul posto di lavoro, salario minimo, fiscalità equa
- partecipazione alla gestione delle imprese in molte forme. Art. 47 della Costituzione e proposta CISL
- salario minimo, revisione della fiscalità del fattore lavoro, con un approccio progressivo. No alla logica flat tax.
- sicurezza sul lavoro. Incaricare una task force di produrre un progetto, da far finanziare dalle aziende. Non è accettabile cercare di spendere meno per la forza lavoro e poi scaricare gli svantaggi di ciò sulle persone che muoiono e sul pubblico che deve intervenire.
- armonizzazione dei tempi di vita e tempi di lavoro (fenomeno delle dimissioni generalizzate). Non si è più disponibili ad impiegarsi in lavori “totalizzanti”. Questo tema è strettamente legato al crollo delle nascite, dovuto in larga parte all’applicazione del lavoro “totalizzante” alle donne e anche al maschilismo ancora imperante, per cui pochi uomini sono disponibili a collaborare in famiglia[2].
- Welfare aziendale che non deve “catturare” i lavoratori per perpetuare la tendenza “totalizzante” dell’impegno in azienda.
A.3. R&S, Nuove tecnologie
E’ indifferibile un incisivo intervento pubblico nel campo della R&S.
L’Italia investe, mediamente, più o meno da sempre, intorno all’1,2/1,3 % del Pil in R&S, contro un circa 3,0 % dei paesi europei concorrenti. L’Italia, dopo gli anni della crescita, dagli anni settanta in poi, non è riuscita a sviluppare i suoi settori industriali di punta, incorporando in essi le tecnologie più avanzate: dall’informatica alle telecomunicazioni e alla chimica fine. Dunque, la carenza di investimenti tecnologici, sia pubblici che privati, ha determinato ritardi strutturali, che possono essere ridotti solo con una trasformazione della politica governativa attuata finora in materia di R&S.
La proposta, che viene formulata in questa sede, contempla l’individuazione da parte del Governo di priorità di ricerca e degli obiettivi correlati. Quindi, una gestione di un Piano di R&S su cinque anni che passa dal centro ai territori: sulla base dei progetti di ricerca si costruiscono reti territoriali che coinvolgano i soggetti protagonisti della R&S: le Università, i Centri e gli Istituti di ricerca, le Imprese.
Le Università dovrebbero essere il motore del Piano, ma oggi i centri di ricerca sono molto cruciali. Va da sé che l’orizzonte della collaborazione in R&S è quello europeo.
La visione strategica contempla l’abolizione dell’erogazione indistinta di bonus, che producono effetti effimeri nel breve termine, senza dare dinamismo tecnologico a medio-lungo termine al sistema produttivo.
A.4. Coesione sociale
Sono molti oggi gli strumenti che si vanno utilizzando per uscire dall’ideologia perversa secondo cui l’impresa è una macchina di produzione di profitti per gli azionisti (il famoso shareholder value). Persino le grandi imprese americane si sono accorte che non si può più sostenere questa posizione (che ha avuto e ha i suoi fasti negli USA) e nel 2019 hanno fatto uscire un manifesto per passare dallo shareholder value allo stakeholder value[3], ma ben poco è successo.
Piuttosto, vanno notati tanti movimenti, più limitati, ma più fattivi, che vanno nella direzione di rendere alcune imprese più attente alla società. A questo fine, è utile fare riferimento nell’azione amministrativa a:
a) I bilanci di materialità (Corporate Sustainability Report Directive, CSRD). Si tratta di un regolamento UE approvato recentemente e in applicazione per le più grandi imprese dal gennaio 2024 ma che sarà progressivamente esteso a tutte le imprese in tema di sostenibilità ambientale e sociale, con il varo di trasparenza e progetti di miglioramento, i cui risultati vanno commentati nell’anno successivo.
b) I bilanci di missione, che si applicano a tutti gli ETS, che impongono la VIS (valutazione di impatto sociale), sulla quale c’è ormai un grande dibattito e una letteratura.
c) I bilanci condivisi degli enti locali sulla base dell’approccio di democrazia deliberativa. Gli esempi sono purtroppo ancora pochi. C’è una bella legge della Toscana in merito. Quella dell’Emilia-Romagna non è un gran che ed è poco utilizzata, non so di altre regioni. Ma molto resta da fare, l’approccio prevalente è ancora quello top-down.
L’unico aspetto dell’approccio partecipativo che sta facendo qualche passo in avanti nelle prassi degli enti locali è quello della co-programmazione e co-progettazione dei servizi di welfare tra enti locali e cooperative sociali, sulla scia della sentenza 131 della Corte Costituzionale del 26 giugno 2020 (a sua volta derivata dal Codice del Terzo Settore approvato nel 2017), che impone una collaborazione tra enti locali e cooperative sociali non solo nell’esecuzione dei servizi, ma nella loro stessa programmazione e progettazione. Su questo punto ci sono già esperienze significative, ma la “resistenza” dell’approccio top-down anche in questo ambito è molto forte.
d) Varie fondazioni che promuovono la qualità, come Italia Patria della bellezza, ASVIS e molte altre. L’Italia dà il suo meglio sulla qualità, e sulle componenti immateriali dei prodotti e dei servizi, non sulle quantità, in tutti i campi.
e) Lo stesso movimento cooperativo, un po’ invecchiato e talora sbiadito, che si sta impegnando in nuovi progetti, come le cooperative di comunità, le cooperative energetiche e le cooperative di piattaforma.
B. IL CONTESTO
B.1.Un cambio di rotta necessario
Il fallimento sociale del modello neo-liberista è un dato di fatto. Dagli anni novanta, cioè dal crollo del muro di Berlino, vi è stata una egemonia, nell’area economica occidentale, della dottrina neo-liberista. Ha, in altri termini, prevalso un mercato fortemente de-regolamentato, che ha sostanzialmente neutralizzato le politiche sociali, in particolare quelle di redistribuzione del reddito. Anche le politiche industriali strutturali sono state, di fatto, azzerate dal modello neo-liberista. Il risultato è stato da un lato il sensibile aumento dei redditi delle elite, e dall’altro l’incremento delle disuguaglianze socio-economiche dei ceti medio-bassi.
In questo consiste il fallimento sociale del modello neo-liberista.
Pure fallimentare, come sappiamo, è la gestione dell’ambiente. Anche in questo caso il mercato, lasciato libero di operare secondo la logica della massimizzazione del profitto, ha prodotto disastri ecologici che negano la centralità della persona umana su questa terra. Occorre cambiare registro e gli economisti più accorti se ne vanno convincendo. Ma non è facile trovare un paradigma alternativo.
B.1.1. L’economia deve tornare ad essere civile
La stella polare di una creativa e innovativa coesione sociale nel post-neoliberismo è rappresentata dal paradigma dell’Economia Civile, (Stato, Mercato, Comunità). E’ all’interno di questo nuovo paradigma economico, che è basato sul “Bene Comune”, la “Felicità Pubblica” e il “Mercato Civile”1, che al lavoro potrà essere ridata dignità. Si riconoscerà al lavoratore non solo una retribuzione equa, ma anche un ruolo capace di far fiorire i suoi talenti, perché si praticherà il primato della persona, in questo modo riportando quella coesione sociale che oggi è latitante.
Se non si parte da un nuovo paradigma, qualunque chiamata a mutare approccio in campo economico sarà una pura petizione di principio.
B1.2. Posizionamento dell’Europa (e dell’Italia) in un sistema multipolare
Si sta realizzando un sistema multipolare degli assetti economici internazionali, che ha origine dal declino degli Usa come potenza egemone. La Cina, in primo luogo, insieme a India, Russia, Brasile, Alleanza Africana e altri minori, operano per ottenere un’autonomia economica e finanziaria rispetto al sistema produttivo occidentale. L’Italia e l’intera Europa si trovano di fronte alla sfida di gestire gli effetti dei profondi cambiamenti mondiali, che danno vita ad una nuova competitività globale. È ragionevole prevedere aspri conflitti tra gli operatori, scontri che coinvolgeranno tutti i mercati, nessuno escluso. E’ urgente contribuire a posizionare Italia e Europa su valori che le distinguano da altri attori internazionali.
B 1.3.Siamo di fronte ad una rivoluzione tecnologica dirompente (distruptive).
Ormai è diffusa la consapevolezza che l’IA (Intelligenza Artificiale) sia una rivoluzione tecnologica che, sull’onda dell’elettronica, sia andata molto oltre la produzione di una tecnologia in più rispetto al passato. L’IA ha ricadute sull’intera società, in modi che ancora non siamo in grado di comprendere appieno, ma che già intuiamo come radicali. Questo tema da solo meriterebbe un importante approfondimento. Dove va il mondo del lavoro sulla base dell’IA? Vincerà il progetto transumanista dei singolaristi della California, che prevedono che entro il 2050 il lavoratore sarà interamente sostituito?
Note
[1] L’aggettivo “decente” viene utilizzato in letteratura sul mondo del lavoro per indicare la valorizzazione dei talenti e la fioritura della persona.
2 paradigma sviluppato da un gruppo di economisti fra cui gli italiani S Zamagni, L Bruni, L Becchetti, V Negri Zamagni.
[2] S. e V. Zamagni, Famiglia e lavoro, Milano, 2012.
[3] Per una discussione di questo e delle varie forme d’impresa, si può vedere : Vera Negri Zamagni Forme d’impresa, Il Mulino, 2020.