INSIEME ha predisposto, e presenta all’attenzione della pubblica opinione, una serie di petizioni parlamentari per richiedere adeguati e solleciti interventi su questioni vecchie e nuove che riguardano gli italiani, la loro vita quotidiana e il loro futuro.
Una delle principali tematiche su cui si deve agire è quella del Lavoro.
INSIEME chiama alla firma per la sottostante petizione in materia che può essere sottoscritta anche con modalità telematica accedendo alla piattaforma www.openpetition.eu tramite QUESTO LINK
INSIEME collocherà sulla piattaforma “open Petition” anche le petizioni relative all’attuazione di leggi approvate negli anni scorsi, ma rimaste in gran parte, o in una certa parte, inattuate. E’ questo il caso della riforma del Terzo Settore, della Legge 194 in materia di tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, quella comunemente e sbrigativamente definita la legge sull’aborto, ed anche della libertà di educazione risalente ad un provvedimento che deve la firma all’allora Ministro della Pubblica Istruzione, Luigi Berlinguer.
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Presentazione della petizione sul Lavoro
Il Lavoro in Italia ha progressivamente perso dignità e ruolo, con il risultato di avere più disoccupazione e precariato, meno sicurezza e un aggravamento degli squilibri sociali e geografici. L’Italia è l’unica nazione tra quelle sviluppate che ha una popolazione attiva inferiore a quella delle persone inattive.
Purtroppo, la questione Lavoro non ha ancora guadagnato, come merita, la centralità nell’attenzione delle forze politiche e del Governo, mentre, dopo due anni di pandemia, le conseguenze sull’economia reale e le sfide poste dalla trasformazione tecnologica e dai forti mutamenti in corso a livello mondiale nel mercato del lavoro richiedono un intervento organico, e il più immediato possibile.
Con questa Petizione, INSIEME avanza proposte concrete da portare all’attenzione del Parlamento, del Governo, di tutte le forze sociali e dell’intero Paese per superare la logica dell’assistenzialismo seguita finora. Per dare al Lavoro il sostegno necessario a farlo ritornare, come recita la Costituzione, il fondamento della nostra civile convivenza e il perno della ripresa economica e della trasformazione che deve coinvolgere l’Italia a tutti i livelli, e per rafforzare l’impresa perché tutte le sue componenti partecipino al confronto imposto dalle dinamiche dei mercati e dell’innovazione.
Senza dignità del Lavoro e nel Lavoro uguale per tutti, senza assicurare un’autentica partecipazione a tutti i soggetti coinvolti nelle dinamiche che interessano l’impresa e le produzioni, non c’è quella democrazia “sostanziale” che assicura una prospettiva anche a quella formale.
La questione del Lavoro, così importante nella vita di milioni di famiglie, va oltre la semplice dimensione economica e diventa, invece, un fattore fondamentale che caratterizza la vita sociale e, persino, la cifra antropologica della nostra comune convivenza.
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Il testo della petizione
20 proposte per il lavoro, la sua dignità, e la crescita della produzione
Premessa
“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, recita l’articolo 1 della Costituzione.
Il lavoro continua ad essere un elemento insostituibile per la dignità e la realizzazione della persona.
Nel nostro Paese il lavoro è diminuito per una serie di concause (dinamiche della globalizzazione e delocalizzazioni, sviluppo dell’automazione, errate scelte di politica industriale, ricerca del minor costo e non della maggiore qualità, crisi economica dal 2008, crisi pandemica ecc.) e ha progressivamente perso dignità e ruolo, causando crescenti squilibri sociali. L’Italia è l’unica nazione tra quelle sviluppate ad avere una popolazione attiva inferiore a quella delle persone inattive. Abbiamo un tasso di occupazione inferiore di 10 punti rispetto a quello della media dei Paesi UE, equivalente a 3,7 milioni di posti di lavoro. A fare la differenza è il sottodimensionamento di molti comparti dei servizi pubblici e privati (sanità, assistenza, servizi alle persone e alle imprese, istruzione, comunicazione…).
Non partecipa al mercato del lavoro una quota significativa di giovani under 34 – un terzo dei giovani nella fascia 15-24 anni non studia né lavora e ingrossa i preoccupanti numeri dei cosiddetti NEET – delle donne e della popolazione in età di lavoro del Mezzogiorno. Si tratta di un ampio bacino di risorse umane inutilizzate (circa 5,5 milioni secondo l’Istat, sommando le persone in cerca di lavoro, scoraggiate o disponibili a cercarlo a determinate condizioni, tra le quali 2,1 milioni di giovani che non studiano e non lavorano), o sottoutilizzate nell’ambito lavorativo (1,4 milioni di part-time involontari). Consideriamo anche il mezzo milione di giovani che hanno completato percorsi formativi di un certo rilievo e si sono trasferiti nei Paesi esteri che offrono migliori opportunità di lavoro.
Questi numeri sono tendenzialmente destinati a peggiorare nei prossimi 15 anni, per la fuoriuscita dal mercato del lavoro delle generazioni del baby-boom, con un incremento previsto di circa 1,5 milioni di pensionati, e la riduzione di oltre 4,5 milioni di persone in età di lavoro, per le conseguenze della prolungata denatalità.
Ma anche guardando a coloro che hanno un impiego, all’interno del mondo produttivo e dei servizi, preoccupano le diminuite attenzioni alla sicurezza sul lavoro, i salari al ribasso, la precarietà dei contratti, la quota crescente di lavoro nero e sottopagato, tutti elementi che indicano uno svilimento nei fatti della colonna portante della nostra concezione di società. Preoccupa ancor più l’accondiscendenza a una cultura assistenzialista alternativa alla cultura del lavoro, con il costante aumento della quota delle risorse pubbliche destinata alle politiche passive a discapito di quelle attive, finalizzate a migliorare l’occupabilità delle persone e a rendere sostenibile la mobilità del lavoro. L’indebolimento del mercato occupazionale e l’impoverimento delle persone, anziché stimolare un ripensamento degli interventi, diventano il pretesto per aumentare ulteriormente la spesa assistenziale. Ed è inaccettabile che i necessari strumenti di sostegno al reddito diventino di fatto un comodo sostitutivo alla ricerca di un impiego, e che si dia per scontato, quasi rassegnandosi al fatalismo, che le politiche attive del lavoro debbano essere inefficaci e fallimentari, incapaci di invertire il progressivo disallineamento tra i fabbisogni professionali richiesti dal sistema produttivo e le caratteristiche dell’offerta di lavoro.
Per invertire le tendenze qui sinteticamente delineate, INSIEME propone le seguenti azioni per restituire ,con scelte concrete di governo, la dignità perduta al lavoro. e perché possa continuare ad essere il fondamento della nostra civile convivenza.
Le Proposte di INSIEME
1. Primo passo per recuperare la piena dignità del lavoro è garantirne la SICUREZZA. La vita umana e la salute delle persone sono un irrinunciabile prerequisito di ogni attività produttiva.
Quindi più formazione, più controllori, più controlli, pene severe, rapide e certe, dove si riscontrano negligenze e omissioni di sicurezza. Al tempo stesso, vanno introdotti meccanismi operativi per una partecipazione responsabile al lavoro.
2. Il lavoro deve costare meno senza penalizzare il salario. Bisogna operare perché non può essere più alta la tassazione sul lavoro rispetto a quella sulle rendite. Quindi:
– taglio significativo del cuneo fiscale;
– deducibilità del costo del lavoro dalla base imponibile dell’IRAP.
3. Il lavoro straordinario deve costare di più, non deve essere conveniente – come è da decenni e ancora oggi – per le aziende, che lo hanno reso in molti casi strutturale. Dove c’è lavoro bisogna favorire nuove assunzioni. Permanendo gli attuali meccanismi di calcolo, gli oneri sulle ore straordinarie vanno raddoppiati rispetto alle ore ordinarie.
4. Ogni lavoro deve emergere, essere riconosciuto e pagato dignitosamente. Vanno applicati solo i Contratti Nazionali stipulati dalle Associazioni imprenditoriali e sindacali maggiormente rappresentative. Occorrerà definire per legge la paga minima oraria. Potrebbe andar bene il ripristino del voucher minimo orario da 10 euro, di cui 2,50 di oneri e 7,50 di paga netta, che diventerebbe, di fatto, il parametro minimo salariale.
5. Il sistema dei voucher deve essere ripristinato, regolato, semplificato ma controllato per evitare abusi, per tutti i settori caratterizzati da prestazioni di lavoro occasionale (ad esempio assistenza saltuaria, lezioni private, ristorazione, turismo ecc.) in modo da fornire una praticabile alternativa al lavoro in nero.
6. Vanno escluse le causali della chiusura aziendale per l’utilizzo delle casse integrazioni – se il curatore non ritiene vi siano opportunità di continuità – e potenziato in alternativa lo strumento dell’indennità di disoccupazione (NASPI), allungando in modo mirato la durata per accompagnare i programmi di inserimento lavorativo.
In merito alle politiche attive del lavoro:
7. Occorre abilitare gli Enti bilaterali, promossi dalle parti sociali per la formazione continua e per i programmi di riconversione (Fondi interprofessionali e Fondi di solidarietà), a svolgere un ruolo trainante nelle politiche attive, finalizzate ad accelerare il ricambio generazionale e di genere, e il reinserimento delle persone in cerca di lavoro. L’attività dei Fondi deve essere estesa anche alle Professioni e ai lavoratori autonomi.
8. Trasformare l’ANPAL in una Agenzia nazionale federale del lavoro al fine di
– far condividere l’attuazione dei programmi di rilevanza nazionale approvati dalla Conferenza unificata Stato Regioni Enti locali (reinserimento lavorativo, scuola-lavoro, immigrazione e mobilità internazionale);
– migliorare gli strumenti (sistemi informativi domanda e offerta, integrazione tra politiche passive e attive, gestione delle condizionalità per i beneficiari dei sostegni al reddito e delle sanzioni, metodologie di intervento e di cooperazione tra gli attori, interventi di supporto ai territori che lo richiedono);
– migliorare il monitoraggio dei risultati.
9. Rivedere le caratteristiche dell’offerta congrua di lavoro che deve essere accettata dai beneficiari di tutte le tipologie di sostegno al reddito, pena la decadenza parziale o totale dell’assegno pubblico, rapportata alle caratteristiche di occupabilità delle persone, estesa a tutti i rapporti di lavoro contrattualmente previsti, compresi quelli a termine, per luoghi di lavoro raggiungibili in tempi ragionevoli da parte del lavoratore.
10. Gli aiuti economici di sostegno economico (reddito di cittadinanza, NASPI ecc.) devono prevedere l’obbligatoria della disponibilità a partecipare a corsi gratuiti di riqualificazione professionale e dello svolgimento di lavori di pubblica utilità su progetti degli Enti locali, in proprio o in collaborazione con enti del Terzo settore.
11. È necessario attivare strumenti che consentano di aiutare l’invecchiamento attivo dei lavoratori; integrare i part-time lavorativi con una quota della pensione già maturata e con la successiva valorizzazione dei contributi ulteriormente versati sulle rendite pensionistiche future. Per tale obiettivo potrebbero essere introdotti dei voucher semplificati, coperti da contribuzione previdenziale e fiscalmente esenti. Voucher anche utilizzabili per integrare i sostegni al reddito, per coinvolgere i pensionati nei programmi di pubblica utilità, da attivare con il concorso delle organizzazioni del Terzo settore.
12. Per conoscere, formare e successivamente portare nel mercato del lavoro una quota significativa dei giovani NEET si propone il potenziamento del servizio civile, che si potrebbe anche pensare di 6 mesi obbligatori.
13. Rivolgere una grande attenzione alla partecipazione degli immigrati regolarmente soggiornanti, buona parte dei quali costretti a lavorare in condizioni salariali e ambientali inaccettabili, attivando la procedura di regolarizzazione del soggiorno prevista dalla normativa per i lavoratori stranieri irregolari che collaborano nelle iniziative rivolte a contrastare il lavoro sommerso.
La partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa
14. Dobbiamo muoverci verso il modello partecipativo . È necessario che i lavoratori siano coinvolti nella gestione, in toto o compartecipata, per sentirsi attori responsabili all’interno della comunità produttiva che si chiama impresa, e da ciò non potranno non discendere anche rilevanti miglioramenti nell’impegno dei lavoratori e, quindi, anche nei risultati economici dell’impresa stessa.
Le possibilità di sviluppo di ogni lavoratore, e i risultati complessivi del lavoro, sono tanto migliori quanto più ha modo di esprimersi l’intelligenza di chi lavora, quanto più è apprezzata e stimolata (e non, invece, osteggiata) la sua intraprendenza, quanto più ampia è la libertà di partecipare al conseguimento di obiettivi condivisi.
La trasformazione digitale e il lavoro
Una profonda riorganizzazione di tutte le attività produttive (imprese, amministrazioni e terzo settore) è già sollecitata dalla trasformazione digitale.
Per poter ben guidare questa trasformazione, occorre avere ben chiari i valori di fondo alla luce dei quali giudicare le conseguenze operative della trasformazione stessa, che sono, sintetizzando:
- Ridimensionamento dei lavori ripetitivi, senza alcuna componente creativa, e che, quindi, possono essere svolti assai meglio (maggiore precisione e più celermente) da macchine digitali.
- Sviluppo di lavori di qualità, capaci d’internalizzare le conoscenze tecniche aperte alla trasformazione digitale; capaci di aumentare la loro produttività tecnica ed economica, con probabile crescita delle retribuzioni e del loro apporto di benessere economico ai lavoratori.
- L’organizzazione produttiva conseguente alla trasformazione digitale può dar luogo all’impresa disaggregata: i lavoratori diventano individui autonomi che svolgono la loro attività in stretto collegamento biunivoco con la casa madre, per cui svanisce, o si riduce, la possibilità di relazionalità presente nell’impresa aggregata: si perde valore sociale. Inoltre, diventa più difficile dar luogo a solidi modelli di partecipazione dei lavoratori.
Sulla base di queste valutazioni si ritengono essenziali per il sostegno del lavoro le seguenti conclusive proposte:
15. Avviare politiche di diffusione del progresso tecnologico su tutto il territorio nazionale per la massimizzare della capacità di incrementare i processi di accumulazione e la competitività del sistema;
16. Definizione di un Piano quinquennale 2023-2027 per l’innovazione e la ricerca, indirizzato alle Università Italiane ed ai Centri e agli Istituti di ricerca, pubblici e privati. Il Piano fissa le priorità e delega l’attuazione degli obiettivi del Piano ai costituendi distretti di innovazione tecnologica e gestionale. Il 50% delle risorse messe a disposizione vanno vincolate all’attività di ricerca secondo gli indirizzi di priorità del piano. Non è finanziata alcuna attività diversa con risorse pubbliche non coerente con la priorità del Piano. Lo strumento principale per questo fine è l’intervento pubblico con la realizzazione di un sistema di formazione permanente.
17. Nella realizzazione di questo processo formativo dovrebbero avere un ruolo decisivo i Comuni (con un ridimensionamento di quello delle Regioni) e i distretti tecnologici, di cui si è detto sotto l’indirizzo e le verifiche condotte da un’apposita “regia nazionale”.
18. Formare una nuova imprenditorialità. L’attuale tendenza al rafforzamento dell’oligopolio internazionale, va controbilanciata da una reazione formativa, che riguarda sia il campo del tradizionale “manager” d’azienda, sia il lavoratore digitale.
19. La presente proposta è di tipo “selettivo” e solidale. Si intende, cioè, dare priorità agli accordi di erogazione di servizi reali (contratti di ricerca ecc.) rispetto ai sussidi monetari, quest’ultimi meno efficaci nel rendere competitivo il sistema produttivo.
20. Fare investimenti nei settori strategici dell’energia, dell’ambiente, dell’intelligenza artificiale; nonché nel prioritario settore della formazione dei lavoratori lo impone la sfida di mettere la persona al centro del lavoro.