Pubblichiamo il documento approntato da Maurizio Cotta, discusso, integrato ed approvato dalla Segreteria nazionale nella riunione del 15 aprile scorso.
IDEE PER L’EUROPA DI DOMANI
Che INSIEME rivolge alle altre forze politiche e al Partito Popolare Europeo
INSIEME è convinto che nell’attuale contesto di emergenze climatiche globali, di profondi cambiamenti dello scenario internazionale sempre più caratterizzato da crescenti tensioni ed incertezze, e dell’emergere in molti paesi di forti spinte populiste e sovraniste, sia essenziale per un paese come l’Italia ribadire la propria cruciale e attiva collocazione all’interno di una Unione Europea rinnovata, rafforzata e conscia delle proprie responsabilità.
In sintesi vorremmo una Europa che sia:
- più eco-sociale e solidale
- più capace di essere attore internazionale responsabile e di pace
- più federale, più internamente coesa, e in grado di prendere tempestivamente decisioni importanti
- più democraticamente rappresentativa e responsabile
- più fondata su valori di un umanesimo integrale e personalista
Una UE più eco-sociale e solidale. L’Unione Europea deve continuare ad essere all’avanguardia della transizione ambientale nel mondo, non guidata da astratti schematismi ideologici ma da una seria analisi della realtà. Questa transizione, necessaria per il futuro dell’umanità, implica investimenti di grande portata, ma richiede anche una più chiara presa di coscienza della distribuzione dei suoi costi e delle sue ricadute su diverse componenti della popolazione. É sempre più evidente che mentre alcuni settori dell’economia e della società beneficeranno di questa grande trasformazione altri invece subiranno perdite e ridimensionamenti. Una spia di questi problemi sono state per esempio le recenti reazioni di una parte degli agricoltori alle nuove norme ambientali europee e le proteste di cittadini fronte alle prospettive di elevati costi per l’adattamento dei sistemi domestici di riscaldamento. La sostenibilità politica delle politiche di transizione ambientale deve tener conto di questi problemi altrimenti saranno i movimenti populisti a trarne beneficio alimentando la protesta contro l’UE. Affinchè i costi degli investimenti ambientali e delle compensazioni sociali richieste non si scarichino tutti sugli stati nazionali (generando inevitabilmente disparità di risposte tra stati con maggiori e stati con minori disponibilità finanziarie e quindi frammentazione dell’Unione) è necessario che l’UE, oltre a dettare le regole, si faccia carico in chiave solidaristica di una parte significativa di questi costi.
In linea più generale, pur senza la pretesa di sostituire il tradizionale ruolo dei singoli stati nelle politiche di welfare, la dimensione sociale dell’Unione Europea deve rafforzarsi a sostegno del principio di cittadinanza europea sancito nel trattato di Maastricht del 1992. Un esempio dal quale partire, rinnovandolo ed estendendolo, è il programma SURE (Support to Mitigate Unemployment Risks in an Emergency). Introdotto nel 2020 e concluso alla fine del 2022; questo programma dava sostegno agli stati che lo chiedevano con prestiti a tasso favorevole per sostenere l’occupazione nel periodo COVID. Il programma era finanziato con debito europeo (European Sure Social Bonds per 98 miliardi di Euro). La strada da percorrere dovrebbe essere quella di rendere permanenti degli schemi di integrazione del welfare nazionale in presenza di crisi. Questi schemi dovrebbero essere naturalmente legati ad una serie di condizionalità predefinite dalle autorità comunitarie.
Che cosa proponiamo: 1. L’Unione Europea deve continuare a guidare la transizione ambientale; 2. Deve “europeizzare lo sforzo” affrontando in maniera solidale i costi in termini di investimenti e di risarcimento sociale di questa (e altre) trasformazioni; 3. A questo fine deve introdurre dei programmi stabili di integrazione della spesa sociale nazionale.
Una UE più capace di essere attore internazionale responsabile e di pace. Il quadro internazionale è oggi diventato più incerto e rischioso: il ruolo egemonico degli Stati Uniti è decrescente (anche per le spinte isolazioniste interne innescate da Trump), la Russia di Putin punta aggressivamente al recupero di un ruolo imperiale e di grande potenza, la Cina improntata ad un nazionalismo più spinto (vedi questione Taiwan) vuole affermare la sua visione e posizione nel sistema mondiale e crescono in generale le spinte multipolari (ma senza ancora un adeguato sistema di governance di questa realtà). In questo contesto l’Unione Europea, che è comunque una delle unità internazionali di maggiori dimensioni, deve assumere più esplicitamente e con decisione il compito di attore internazionale responsabile e orientato alla costruzione di realtà di pace. L’UE può in effetti vantare una valida esperienza in questo campo. Si deve ricordare quanto la sua stessa creazione originaria abbia contribuito a creare una intesa pacifica tra i sei stati fondatori e quanto l’ammissione progressiva di altri paesi europei abbia esteso questa area di pace in zone potenzialmente gravide di conflitti. Vanno segnalati anche i contributi economici non indifferenti ad azioni internazionali contro la povertà e le carestie così come la partecipazione di molti paesi europei alle missioni di peace keeping delle Nazioni Unite. Però tutto questo oggi non basta più. L’UE e i suoi paesi membri si sono finora accontentati di queste azioni chiudendo gli occhi su altri gravi elementi di instabilità che covavano nel mondo e spesso proprio in aree vicine ai propri confini. Tre aree principali di crisi richiedono oggi all’Unione una assunzione più cosciente e forte di responsabilità: 1.il confine Est, dove la Russia di Putin ha infranto il principio, basilare per la pace europea, del rispetto dell’integrità territoriale di altri stati (Georgia, Moldova e Ucraina) e ha apertamente proclamato un disegno di eversione del paese confinante (“denazificare l’Ucraina”, “l’Ucraina non esiste”); 2. il Medio Oriente, dove la mancata soluzione della questione palestinese ha fornito le basi per una drammatica ripresa del conflitto tra le forze estremiste palestinesi e Israele; 3. l’Africa, dove instabilità politiche, conflitti etnici, e crisi climatiche accentuano i problemi di sottosviluppo e alimentano migrazioni interne (Congo, Etiopia, Sudan) ed esterne di massa con sofferenze drammatiche per i più fragili.
Queste tre aree di crisi richiedono interventi diversi ma urgenti per ristabilire e consolidare condizioni di pace. 1. In Ucraina, nella prospettiva auspicabile del ristabilimento di un ordine europeo cooperativo, fondato sul diritto internazionale e sulla conciliazione degli interessi di tutte le parti (ivi inclusa la Russia, sperabilmente ritornata nel futuro a comprendere che l’Europa più che la Cina le offre uno spazio di crescita civile), la priorità è difendere il principio del rispetto della sovranità e integrità degli stati e quindi fare arretrare l’invasione russa. Bisogna inoltre lavorare per creare condizioni molto forti di sicurezza per l’Ucraina contro riprese future dell’aggressione e mettere in campo ingenti risorse per la ricostruzione di questo paese. 2. Nel Medio Oriente la ricerca di un ordine, che garantisca la sicurezza di Israele e contemporaneamente uno spazio politico autonomo alla popolazione palestinese e le assicuri condizioni di vita dignitose, richiede da parte dell’Unione Europea la capacità di parlare con molta “franchezza” (nel senso usato in diplomazia) a entrambe le parti, di mettere a disposizione forze di garanzia e interposizione, nonché aiuti umanitari e per la ricostruzione. 3. Per quanto riguarda l’Africa l’Unione Europea deve prima di tutto riconoscere che il continente africano non è solo una realtà ricca di problemi, ma anche di grandi opportunità se si pensa alla sua configurazione demografica, alle sue risorse naturali e alle sue prospettive di crescita (dopo l’Asia è il continente con le prospettive di crescita maggiori). L’UE deve quindi rafforzare in maniera significativa le politiche già esistenti di partenariato in campo economico, sanitario, dell’istruzione e della ricerca, facendo convergere e coordinando le politiche africane degli stati membri, troppo spesso tentate da riflessi postcoloniali e paternalistici o indebolite da rivalità intraeuropee. L’assistenza al consolidamento delle istituzioni politiche degli stati africani e anche delle loro strutture di cooperazione interstatali che possono trarre esempio da quelle europee è un altro campo da coltivare. Il problema delle immigrazioni irregolari potrà trovare in un simile contesto se non la totale soluzione certo una importante mitigazione che certo non potrebbero assicurare politiche guidate da un approccio securitario e poco attente al rispetto dei diritti umani.
Che cosa proponiamo: 1. La UE deve assumersi sul serio la responsabilità di essere un attore primario di pace senza delegarla ad altri soggetti (gli Stati Uniti in primis). 2. L’UE ha bisogno quindi di sviluppare una vera politica estera, cioè la capacità innanzitutto di “vedere” le crisi emergenti ai propri confini e poi di predisporre azioni adeguate ad evitarne o comunque contenerne gli sviluppi più negativi per sé stessa e per le popolazioni interessate; 3. Oltre agli importanti strumenti del soft power (influenza economica, tecnologica e culturale) di cui dispone, l’Unione Europea deve progressivamente (e in coordinamento con lo strumento già esistente della Nato) sviluppare una propria politica di difesa che riduca la sua dipendenza dagli Stati Uniti e le consenta una maggiore autonomia di azione dove è necessario e dove altri soggetti sono riluttanti ad agire.
Un’Europa più federale, più internamente coesa, e in grado di prendere tempestivamente decisioni importanti. Per far fronte alle grandi sfide citate, come anche a quella dell’innovazione tecnologica, l’Unione Europea ha bisogno di una maggiore unità di intenti e di una maggiore capacità di decisione e di azione. In sintesi ha bisogno di diventare più federale, cioè di svilupparsi secondo un modello politico-istituzionale che, come in altre esperienze federali (Usa, Germania, ecc.), possa contare in una serie delimitata ma strategica di ambiti su un centro decisionale capace di deliberare le nuove politiche e dotato delle risorse per implementarle. L’Unione Europea ha già sviluppato alcuni elementi significativi di federalismo, ma limitati a settori che, pur importanti come la moneta, il commercio estero, il mercato interno e in misura parziale l’ambiente, non sono oggi più sufficienti. L’ambito della politica estera e di sicurezza deve (progressivamente) essere federalizzato e lo stesso vale per il settore dei grandi investimenti infrastrutturali, climatici e tecnologici, ma anche in parte per l’ambito delle politiche sociali e sanitarie. Questo vuol dire, in primo luogo, che in questi ambiti le istituzioni centrali dell’Unione devono avere la possibilità di decidere (a maggioranze qualificate) senza essere ostaggio del potere di veto di singoli stati. In secondo luogo l’Unione deve avere le risorse finanziarie per sostenere queste politiche. L’attuale bilancio europeo, poco più dell’1% del prodotto interno lordo complessivo dell’Unione, non è più adeguato a rispondere a queste nuove esigenze. Pur senza nemmeno avvicinarsi ai livelli medi degli stati membri (che si aggirano tra il 40% e il 50% dei PIL nazionali), è necessario accrescere il livello del bilancio comunitario. Poiché è difficile pensare di aumentare significativamente i contributi che gli stati membri già danno, le strade aperte sono quella di ricorrere ad un maggiore e più sistematico indebitamento (eurobond) e quella di aumentare le risorse proprie, per esempio con la tassazione alle importazioni sulla base delle emissioni carboniche, con gli introiti dal trading delle emissioni, e con tasse dirette sui profitti societari internazionali. Il debito europeo, che ha già avuto una significativa sperimentazione (con il Next Generation EU e con SURE), stenta ad affermarsi anche perché l’Unione Europea è per ora un piccolo emettitore del debito sovrano e questo ne riduce la credibilità e aumenta i costi. Inoltre, le sue limitate entrate proprie danno insufficienti garanzie (non a caso i bond europei pagano attualmente tassi più alti della Germania). I due strumenti devono quindi essere sviluppati insieme.
Che cosa proponiamo: 1. Accentuare il carattere federale della UE estendendo i settori di policy di competenza esclusiva o prevalente della Unione; 2. Applicare in questi settori il metodo comunitario di decisione che prevede il voto a maggioranza qualificata riducendo i poteri di veto di singoli stati; 3. Rafforzare il bilancio dell’Unione da destinare al finanziamento di beni collettivi europei; 4. Aumentare le entrate proprie dell’Unione e il ricorso a debito europeo.
Un’Europa più democratica e rappresentativa. Nella misura in cui si chiede all’Unione Europea di farsi maggiormente carico di responsabilità importanti che i singoli stati membri non sono più in grado di assolvere, diventa sempre più cruciale rafforzare la legittimità democratica delle sue istituzioni, affinché le scelte che esse devono compiere corrispondano alle attese dei cittadini e siano da questi meglio accettate. Contemporaneamente bisogna sviluppare un senso di comune appartenenza europea (oltre a quella nazionale) che sostenga il riconoscimento di un bene comune europeo.
Sotto il profilo formale le istituzioni dell’Unione hanno già incorporato elementi fondamentali di democraticità. Il parlamento europeo, che possiamo a buon diritto considerare la camera popolare di un parlamento bicamerale sui generis (l’altra camera è de facto il Consiglio dell’Unione Europea, già consiglio dei ministri), è eletto a suffragio universale dai cittadini europei in proporzione della popolazione; inoltre ha un ruolo decisivo nella nomina del presidente della Commissione e nella fiducia a questo organismo. D’altro canto Consiglio Europeo e Consiglio dell’Unione Europea traggono tutti legittimità democratica, seppur non in maniera aggregata ma paese per paese, dalle elezioni nazionali (un po’ come avviene per il Bundesrat tedesco). A complicare le cose è però il fatto che il “governo” della UE è una realtà complessa essendo in sostanza formato dal Consiglio Europeo, dal Consiglio dell’Unione Europea e dalla Commissione che svolge anche questa funzione). Questo rende la accountability del governo europeo multipla e sfuggente.
Che cosa manca allora per potenziare la democraticità della UE? Non tanto le procedure formali della democrazia (che potrebbero comunque essere semplificate) ma la linfa politica di questa, cioè la costruzione di domanda e offerta politiche europee, dunque di programmi tarati sui problemi europei che vengano sottoposti al vaglio dell’elettorato europeo diventando così la base politica del governo europeo.
L’Unione gode in realtà di un largo e generico consenso, ma spesso questo si riduce rispetto alle specifiche politiche che anche piccoli gruppi di pressione riescono a mettere in discussione. Un più forte consenso a sostegno di politiche importanti e di comune interesse stenta a incanalarsi nei processi istituzionali che sono percepiti come lontani e poco comprensibili dal grande pubblico. La causa è principalmente da ricondurre alla debolezza dei partiti europei che tendono ancora ad essere assemblaggi assai incoerenti di partiti nazionali.
Che cosa proponiamo: 1. Rafforzare il ruolo della Commissione come componente principale del governo europeo e quindi della sua responsabilità politica nei confronti soprattutto del Parlamento europeo e indirettamente degli elettori; 2. Riportare il Consiglio Europeo ad un ruolo di indirizzo generale da condividere con il Parlamento Europeo; 3. Europeizzare nei fatti le elezioni del Parlamento europeo attraverso il rafforzamento dei partiti europei sia sotto il profilo della proposta programmatica che della formazione di una classe politica più integrata a livello europeo e di una leadership capace di proporsi in tutti i territori dell’Unione; 4. Può essere utile sviluppare anche procedure di consultazione popolare e di democrazia deliberativa a livello europeo per rafforzare la comune identità. 5. L’istituzione di un servizio civile europeo, potrebbe essere uno strumento significativo per accrescere il senso di responsabilità per il bene comune europeo.
Un’Europa più fondata su valori di umanesimo integrale e personalista. Quanto detto sopra è certamente di primaria importanza ma non ancora sufficiente. Una impresa complessa come l’Unione Europea, specie nella prospettiva di un suo sviluppo più federale deve basarsi su un sistema di valori fondamentali comuni. I principi democratici e il rispetto dello stato di diritto che l’Unione afferma ne sono una componente fondamentale. L’affermazione dei diritti individuali, che l’Unione ha in misura crescente messo all’ordine del giorno, è però oggi eccessivamente sbilanciata nella direzione di una antropologia relativistica. È necessario, anche in vista delle grandi trasformazioni ambientali, tecnologiche e mediche in corso, e delle scelte da prendere che ne derivano, che i valori dell’umanesimo integrale e personalistico siano riportati con forza all’attenzione dell’opinione pubblica europea e inseriti nella cultura e nelle scelte dell’Unione. Purtroppo la recente risoluzione del Parlamento Europeo che chiede l’inserimento del diritto all’aborto tra i diritti fondamentali dell’UE va in direzione opposta e deve essere vigorosamente contrastata.
Che cosa proponiamo: 1. I partiti europei e i loro programmi devono essere posti a confronto con l’esigenza di rafforzare le basi umanistiche e personalistiche dell’Unione. 2. Il Partito Popolare Europeo, per le tradizioni culturali alle quali si è ispirato dalla sua nascita, deve rimettere al centro della sua riflessione queste problematiche (senza ridursi al modello di un semplice partito conservatore) e stimolare gli altri partiti europei ad un più approfondito dibattito politico-culturale.