La Segreteria di INSIEME ha approvato e diffuso la seguente nota sul lavoro. Continua, così, l’impegno del partito per delineare una proposta politica che affronti in modo adeguato le questioni riguardanti una fondamentale attività sociale che, nel corso degli ultimi decenni, ha registrato ritardi e arretramenti, soprattutto a danno delle parti più deboli.

Il documento di INSIEME resta in continuità con la petizione già presentata in materia (CLICCA QUI) e  con l’incontro organizzato lo scorso 19 ottobre cui hanno partecipato i rappresentanti di numerosi gruppi e associazione che hanno condiviso la necessità di un impegno politico sulle nuove tematiche aperte per i lavoratori, le imprese, e il mondo del lavoro in generale.

Il lavoro – fondamento della Repubblica, secondo il dettato dell’ articolo 1 della Costituzione – rappresenta l’architrave su cui edificare una nuova stagione politica, orientata a sviluppare l’ intera gamma dei “diritti sociali”.

Lavoro, dunque, baricentro di una strategia fondata su casa, educazione, cultura, salute, cura e tutela dei soggetti deboli, vivibilità del contesto urbano, salubrità dell’ ambiente.

E’ attorno a questi obiettivi – versanti essenziali per la vita di ogni famiglia – che va ricreata la “coesione sociale” necessaria a sostenere ordinamenti democratici in affanno.

A tale proposito risultano decisive nuove relazioni tra capitale e lavoro, indispensabili per ricucire le lacerazioni e riassorbire le slabbrature del tessuto sociale che stanno raggiungendo un livello di guardia oltre il quale – come segnala l’ annuale rapporto del Censis – le tensioni potrebbero effettivamente degenerare in una rivolta sociale aperta, anche a prescindere dall’ auspicio, previsione o minaccia che sia di Landini.

Noi pensiamo sia necessario un nuovo “statuto del lavoro e dell’ impresa sociale” che delinei le linee generali di un “patto di corresponsabilità”.

Il quale, senza nulla togliere al conflitto – perenne motore di innovazione in ogni ambito, cominciando da quello sociale – al ruolo rivendicativo del sindacato ed al pieno esercizio del diritto di sciopero, permetta di ricondurre gli interessi particolari dell’ una e dell’ altra parte entro la cornice dell’ interesse generale del Paese.

Anche sul piano del comune concorso alla definizione di una politica industriale, della ricerca e degli investimenti che consenta all’ Italia di competere e sostenere, grazie al contesto europeo in cui si colloca, la sfida tecnologica sul piano internazionale, gareggiando, in quanto a creatività, con gli stessi Stati Uniti.

Le vecchie categorie del “classismo” e dell’ “interclassismo” e le loro declinazioni più recenti non sono in grado di reggere lo sforzo e la fatica delle trasformazioni verso cui siamo inesorabilmente incamminati.

Anche al mondo imprenditoriale spetta, dunque, riconoscere che il modello di sviluppo “neo-liberista” e’ sfuggito di mano e si e’ riversato in forme francamente patologiche di abissali diseguaglianze, che configurano una postura “padronale “ e predatoria del capitalismo.

La quale, a maggior ragione sospinta dalla dimensione “multinazionale” delle maggiori imprese, ha privilegiato la “finanziarizzazione” dell’ economia a dispetto del profilo industriale e produttivo (Stellantis  insegna ), ha prodotto intollerabili divaricazioni nella ridistribuzione della ricchezza ed ha gestito gli incrementi di produttività consentiti dall’ innovazione tecnologica esclusivamente in funzione del profitto.

Siamo giunti al capolinea, si tratta di venirne fuori ed avviare una nuova corsa.

Quindi, è il momento di promuovere, sostenere e premiare con politiche appropriate un nuovo paradigma che abbia il coraggio di assumere quali presupposti strutturali del suo impianto, alcuni fattori – tendenziale piena occupazione, reali garanzie di sicurezza sul lavoro, valorizzazione delle professionalità e formazione, difesa delle competenze a fronte dell’ avanzamento tecnologico, sostegno al lavoro femminile, adeguate retribuzioni in linea con la media europea – che disegnino un nuovo profilo sociale dell’ impresa.

In questo nuovo quadro di riferimento al lavoratore va riconosciuta la facolta’ di concorrere alla definizione delle linee strategiche di fondo dell’ azienda. Ed, altresì, nelle forme contrattualmente pattuite, il diritto di partecipazione agli utili di impresa.

Il lavoro, ogni lavoro, di qualunque rango, allo stesso modo per ognuno, è un diritto e, nel contempo, un dovere. Lo afferma e lo prescrive l’ articolo 4 della legge fondamentale dello Stato. E va remunerato – art. 36 della Carta Costituzionale – in misura sufficiente perche’ il lavoratore possa “assicurare a sé ed alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Se ne deve dedurre che il sistema economico produttivo non puo’ piu’ essere fondato sulla legge unica, inappellabile e sovrana del profitto e della rendita, in particolare di quella finanziaria e non produttiva.

Abbiamo bisogno – e urgentemente – al di là di quello economico, di riscoprire il “valore sociale” del lavoro che assuma, nell’ ordine complessiva della nostra convivenza civile, una valenza primaria rispetto allo stesso profitto.

Infatti, la priorità programmatica che, in questa fase storica, va riconosciuta ai “diritti sociali” deve essere finalizzata a ricreare le condizioni di coesione, di fiducia e di solidarietà, di reciproco riconoscimento tra i vari attori del contesto civile necessarie a sviluppare forme avanzate di partecipazione alla vita democratica che siano in grado di reggere l’ onere delle trasformazioni in corso.

I luoghi di lavoro vanno intesi come spazio privilegiato a tal fine. Va riconosciuta la relazione che corre tra piena soddisfazione del diritto al lavoro, pari titolarità di cittadinanza e tenuta degli ordinamenti istituzionali fondati sulla centralità del Parlamento e della democrazia rappresentativa Ricordando, d’altra parte, come il mondo del lavoro storicamente, nel nostro Paese, in modo particolare negli ultimi decenni del secolo scorso, si sia fatto carico di una responsabilita’ decisiva per la difesa della democrazia.

Del resto, il lavoro, le diverse conformazioni che va assumendo, soprattutto sospinte dalle innovazioni tecnologiche più avanzate, rappresenta l’ ambiente che piu’ violentemente di altri e’ investito da processi caratteristici del tempo di transizione – e, dunque, inevitabilmente, di precarietà’ – che stiamo vivendo.

Occorre, pertanto, mettere in atto, dando loro certezza di legge, strumenti di garanzia e di tutela sociale del lavoratore – a prescindere dalla modalità contrattuale del suo impiego – in modo particolare, in relazione alle fasi di eventuale passaggio da un’ occupazione ad un’altra.

E’ impegno dello Stato, cioè della collettività nella sua formalizzazione istituzionale, impedire che la vita del lavoratore sia esposta a condizioni di insicurezza esistenziale, destinate a ripercuotersi sulle famiglie e sulle piu’ giovani generazioni.

Le innovazioni tecnologiche – cominciando dall’ IA, la più prorompente – stanno cancellando vecchie professionalità e ne creano di nuove. Lasciate correre per il loro verso, finirebbero per essere funzionali solo ad incrementi di produttività, a loro volta unilateralmente orientati alla crescita del profitto, senza riguardo alle fratture sociali che ne potrebbero derivare e, peraltro, già inscritte nel nostro orizzonte. Vanno, dunque, governate per scongiurare un tale esito ed impedire che vi sia, altresì – a prescindere da eventuali sacche di disoccupazione – se non altro una progressiva dequalificazione del lavoratore a fronte della logica inesorabile dell’ algoritmo.

Peraltro, a dispetto di ogni pur avanzatissima automazione, la centralità del “fattore umano” non verra’ mai meno quale nodo centrale di ogni processo produttivo, Al contrario, una possibile involuzione a questo livello, preparerebbe il terreno perche’ anche sul piano complessivo dello sviluppo sociale, lo spazio della “politica” venga via via eroso da poteri “altri” e differenti, di impronta tecnocratica, per loro natura alieni da ogni preoccupazione democratica.

Analogamente, per quanto concerne il lavoro femminile, la legge del profitto deve cedere il passo a percorsi di “conciliazione condivisa” che consentano di tenere insieme, in un rapporto armonico, occupazione e vita familiare. Anche nell’ ottica di politiche orientate alla natalità che esigono congedi parentali e servizi dedicati alle prime età della vita di cui il nostro Paese non è sufficientemente provvisto.

Libertà e giustizia sociale non possono che camminare di pari passo. In caso contrario, sarebbero destinate ad elidersi a vicenda.

Visit Us On FacebookVisit Us On TwitterVisit Us On LinkedinVisit Us On Youtube