Mentre il Parlamento si appresta a votare la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura e dell’Ordinamento Giudiziario, approvata all’unanimità in Consiglio dei Ministri, l’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) minaccia di scioperare se non saranno introdotte modifiche sui punti ritenuti critici, tra cui il fascicolo personale del magistrato, la regola che stabilisce un solo cambio di funzioni tra giudice e Pubblico Ministero nel corso dell’intera carriera, considerata alla stregua di una separazione di fatto delle carriere.
La critica più penetrante, alla quale si associano tutte le sigle da Magistratura Indipendente, a Unicost e Area, riguarda la costituzionalità della riforma in relazione ai sacrosanti principi di autonomia e indipendenza, disegnando un magistrato burocrate di una giustizia difensiva mettendo così a rischio la tutela dei diritti dei cittadini (vedi intervento del 12/02/2022).
Tuttavia, la questione di costituzionalità come l’eventualità dello “sciopero” appare non più di un pugno battuto sul tavolo.
Anche se è difficile da concepire come un potere dello Stato possa proclamare e attuare lo “sciopero”, la questione di fondo è un’altra e riguarda il modello di magistrato che occorre in una società complessa come quella che oramai da diversi anni si va strutturando. E, a questo riguardo, la riforma considera la valutazione della professionalità e responsabilità come questione di notevole importanza.
In questa prospettiva occorre, anzitutto, che il sistema di valutazione della professionalità (ogni quattro anni fino alla settima valutazione) sia tale da garantire un livello adeguato per tutti, sempre in aggiornamento. L’obiettivo dovrebbe essere quello di elevare l’etica della responsabilità di tutti i magistrati e non quello di selezionarne alcuni ritenuti eccellenti da assegnare magari agli uffici di maggior rilievo. La disposizione secondo cui il magistrato deve produrre al Consiglio giudiziario, e poi al CSM, i provvedimenti sull’attività svolta altro non è che uno strumento di verifica a cui sono sottoposti, ognuno con modalità diverse, tutti i professionisti e lavoratori. Per quale ragione i magistrati dovrebbero essere esenti da un simile controllo che, tutto sommato, può rivelarsi efficace anche nel loro interesse?
La questione dei magistrati in politica e nelle amministrazioni locali va risolta definitivamente una volta per tutte perché mette in pericolo l’equilibrio dei poteri dello Stato anche se, come si legge nella Relazione della Commissione Luciani, la “relativa casistica sia piuttosto limitata”. Occorre al riguardo una rigorosa disciplina, costituzionalmente orientata, che preveda il ricollocamento in ruolo dei magistrati che abbiano svolto funzioni politiche o amministrative ma senza che vengano assegnate funzioni giurisdizionali. Come si fa a non capire che chi è stato uomo politico di parte, magari partecipando alla funzione legislativa (colui che “fa” il diritto), non può tornato a svolgere la funzione giurisdizionale (cioè,colui che “dice” il diritto)? E su questi presupposti proclamare anche uno “sciopero”!
INSIEME – Dipartimento giustizia